

Loading... Finnegans Wake (1939)by James Joyce
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» 30 more 1930s (21) Favourite Books (434) Metafiction (31) Unread books (308) Modernism (86) The Greatest Books (64) Best of World Literature (250) Surprises and laughs on every page. What's not to like? The hearse awheeze but the chap is swilling. Magnificent! This is truly superb, and surpasses Ulysses in its maturity and breadth. The best to say of this is as little as possible. Language - as the grammatically written/the phonetically spoken/ the culturally literate * illiterate * dialect * and categorical - is so spellbinding that the word bursts forth into the infinite plethora of (mis)understanding that makes up the whole of this novel. To read Finnegans Wake is not to come out of it knowing something and to try and understand what is WRITTEN is what I would consider to be the wrong way to take it. To judge it on its "erudition" is to bastardize it. One enters in as oneself, and leaves without a self. The language of life is broken down by the diaspora of meaning and the meaning of meaning ad infinitum - whence we are finally united at the "end" with Anna Livia's soliloquy. The best way to describe this book to someone else is simply to say of H.C.E. as he says of himself: Here Comes Everybody. Dieter H. Stündel translation (right) plus annotations to numbered lines of the original (left) useful for German readers
E' formidabile! Ma chi lo legge? Esce negli Oscar l'opera più ardua di Joyce: un'impresa insormontabile sviscerarlo e tradurlo, esempio massimo di capolavori tanto citati quanto sconosciuti Esistono grandi libri illeggibili, e grandi libri non molto letti. Una sera da Rosati, nella via Veneto di Flaiano, primi Anni Cinquanta, due giovani giornalisti, uno calabrese uno toscano, fingevano di conoscere La recherche, e di averla trovata noiosa. «Si ripete...» dicevano. A un tavolo vicino il critico teatrale Sandro De Feo, un proustiano doc, drizzò le orecchie. «Non sapete di cosa state parlando» si inserì. E cominciò a fare loro domande. «Vediamo un po’, come si chiama la duchessa de Guermantes?», «Chi è la zia del baron de Charlus?». I due farfugliarono, si impappinarono. Alla fine il toscano, che era il più sincero, confessò: «O Sandro... ’un s’ebbe tempo!» Be’, non tutti hanno letto Proust, ma oggi non esiste lettore acculturato che non abbia perlomeno gli strumenti onde fingere convincentemente di averlo fatto. Lo stesso si può dire per il più famoso libro di James Joyce, altro pilastro del rinnovo del romanzo nel Novecento. Quando Ulisse uscì con enorme risonanza fu anche un successo di scandalo, e la sua pubblicazione negli Stati Uniti (se è per questo, anche nell’Irlanda patria dell’autore) fu severamente proibita. Molti intellettuali protestarono, e in prima fila si distinse il giovane ma già celebre Hemingway, che ne importò personalmente di contrabbando e diffuse molte copie. Peccato che la sua, ritrovata dopo la morte, fosse rimasta intonsa tranne le prime poche pagine. Anche Ulisse può essere una lettura ardua, e forse la maggior parte degli acquirenti del romanzo si arrende durante il percorso, salvo saltare al fatidico finale col monologo di Molly Bloom. Diverso il discorso per Finnegans Wake, alla stesura del quale Joyce dedicò sedici anni, dichiarando che sarebbe stata l’ultima impresa della sua vita artistica. Rispetto ai pur ardui libri appena citati - Ulisse per la tortuosità, la Recherche per la mole - Finnegans Wake presenta l’ostacolo ulteriore e pressoché insormontabile della lingua in cui fu scritto, lingua che pur partendo dall’inglese, sia pure con accento irlandese, è poi un impasto di neologismi inventati da Joyce attingendo sia alla sua insaziabilità di autodidatta, sia al suo talento di poliglotta. Joyce sapeva infatti moltissime lingue. Prima dei vent’anni, per esempio, si era studiato da solo il norvegese allo scopo di comprendere meglio Ibsen, e in quella lingua aveva scritto una lettera ammirata al grande drammaturgo, il quale gli aveva risposto scambiandolo per un vecchio accademico. Nella Trieste asburgica si era trovato a contatto con un crogiolo di etnie dal quale aveva appreso una moltitudine di idiomi. Ora, esistono in letteratura libri scritti in lingue segrete, o addirittura inventate. Al tempo in cui nell’Iran regnava lo scià e si promuovevano festival internazionali, il poeta Ted Hughes scrisse per Peter Brook un testo intitolato Orghast da rappresentare sulle rovine di Persepoli, appunto in una lingua fatta solo di sonorità; il pubblico doveva capire l’azione come quando si va a teatro all’estero, riconoscendo i significati dalla musicalità dei fonemi. Non veniva fornita, né esisteva, una spiegazione. Anche nella sua operazione matta e disperatissima Joyce vuole che il lettore capisca; ma a costo di risalire all’origine di tutte le sue invenzioni, parola per parola. Il primo a corredare di chiose puntuali anche se non esaurienti quello che veniva scrivendo, fu proprio lui. Dante - mettiamo - espone il suo sistema - la sua cultura, la sua cosmologia, la sua religione - per così dire, li porge. Va verso il lettore. Joyce fa il contrario. Il lettore deve andare da lui, e sviscerare quanto lui gli fa solo balenare. Intendiamoci, la sua creazione non si esaurisce nella lingua. Nell’introduzione al primo volume della traduzione di Luigi Schenoni, uscito nell’ormai lontano 1982, Giorgio Melchiori sintetizzò mirabilmente le pazienti esplorazioni di molti esegeti, mostrando la complicata eppur limpida simmetria che organizza gli innumerevoli episodi della vicenda (questa di per sé sarebbe semplice, la notte e i sogni del protagonista H.C.Earwicker), con un fittissimo tessuto di simboli e allusioni e richiami. Pesante come svago, poco utile come oggetto di studio (quale allievo è in grado di leggerlo, quale docente di spiegarlo adeguatamente?), Finnegans Wake ha tuttavia sempre trovato appassionati che non si sono stancati di interrogarlo. Tra questi in Italia spicca Luigi Schenoni, venuto purtroppo a mancare senza terminare l’eroica fatica di tradurlo, oggi giunta a un quarto volume. Ma non di tradurlo in una lingua «normale», così da consentire di leggerlo come con una versione interlineare. Schenoni ha voluto riprodurre per il lettore italiano l’effetto che Finnegans Wake produce sul lettore anglofono. Lì l’inglese, come si diceva sopra, è la base, ma ci sono richiami ad altre lingue (ne sono state individuate 47), più innumerevoli parole composte, come la sempre citata «meanderthale», dove convivono i significati di meandro più «tale», storia - storia-labirinto - ma anche di Neandertal, con richiamo alle origini della lingua stessa. Schenoni dunque reinventa, sulla traccia dell’originale, arrivando a frasi come «Halloggio di chiamata è tutto il loro evenpane, sebbene la sua cartomanza abbia un’hallucinazione come un’erezione di notte...», che poi spiega in un corpo di note lungo il triplo del testo stesso. Come Joyce, non pensa tanto al fruitore, quanto a cimentarsi con la propria ossessione. Joyce ha eretto un monumento all’impossibilità di procedere oltre nella strada del romanzo, costruendo un romanzo totale e definitivo, in cui tutto lo scibile e la stessa favella sono rielaborati come in una nuova Babele di unione anziché di disgregazione. Condividendo la sua orgogliosa solitudine, Schenoni la fa sentire meno arrogante e più umana. Is contained inHas as a reference guide/companionA Skeleton Key to Finnegans Wake by Joseph Campbell Annotations to Finnegans Wake by Roland McHugh A Reader's Guide to Finnegans Wake (Irish Studies) by William York Tindall Has as a studyHere Comes Everybody: An Introduction to James Joyce for the Ordinary Reader by Anthony Burgess The Books at the Wake: A Study of Literary Allusions in James Joyce's Finnegans Wake by James S. Atherton The art of James Joyce: method and design in 'Ulysses' and 'Finnegans Wake' by A. Walton Litz Joyce-again's wake; an analysis of Finnegans wake by Bernard Benstock Has as a commentary on the text
No descriptions found. Presents an experimental novel depicting a dream of world history, with characters from literature and history appearing and disappearing, written in a dream language that is a comical mixture of all the languages of Europe. |
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In “Finnegans Wake” by James Joyce
Joyce could really write. “Portrait of the Artist as a Young Man” is exquisite, and “Ulysses” is a masterpiece. I see Joyce as a product of his 'modernist' era, certainly, but a sincere one. He was reaching for something, a kind of synthesis of prose and poetry that came close to the true language of the mind. It's remarkable how much of Finnegans Wake is comprehensible, in spite of the fact that Joyce's words don't actually exist; we know what he means, or we can guess at it, which would be impossible if it was just gibberish. The question is whether it's worth the trouble. So much of what goes on in our minds is just noise, and really, who wants to read a transcription of mental static, no matter how impressive the act of having transcribed it? I've never finished Finnegans Wake, and I'm not sure whether that's my issue or Joyce's. To paraphrase Rossini talking about Wagner, Joyce's writing has some wonderful moments but some terrible quarter-hours! I got the idea that I was missing things, and hallucinating things of my own accord; I found it not very fruitful. Can't remember it that well, either, much like some of my own teenage years, then...On a sentence level is makes little sense - or if it does, thought it's so angular. On a wider level, structurally, it's like “The Divine Comedy” - Joyce created his own mythological cosmos - and typically for him he based it on a normal family. Or it reminds me of Ovid and his “Metamorphosis” or Blake's prophetic poems... it's that kind of work.
I agree that bits of it are sublime, but in my experience it takes real determination to get to them. It was the act of a very large ego to write something that assumed people would take the time to wallow in someone else's unconscious over an extended period. I think that life is short, the world full of difficult books and you need to be selective. I think I'd rather re-read “Middlemarch” or “Odysseus”; they're more comprehensible and I feel better reading them than I do with the Wake.
Ulysses certainly changed the English Language but "Finnegans Wake" didn't. A waste of time, a beautiful waste of time; it’s a case of Causabon's Key To All Mythologies with Guinness and Opera. (