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Il sacro bosco di Bormarzo nella cultura europea

by Enrico Guidoni

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Questo lavoro sperimentale, premessa per una radicale revisione del problema storico e interpretativo del Sacro Bosco (o Boschetto) di Bomarzo, è stato scritto nel 2001-2003, e viene oggi pubblicato solo con qualche secondario e necessario aggiornamento. La scarsità di contributi innovativi recenti e la perentoria sicurezza di giudizi manifestata nell’opera sistematica di Bredekamp e nei saggi che ne sono scaturiti ha, di fatto, scoraggiato la ricerca puntuale sulle fasi costruttive, sul disegno complessivo del Sacro Bosco, sui suoi autori; mentre l’assenza di una documentazione specifica ha fatto trascurare le fonti disponibili sintetiche ma eloquenti, relative alla sua datazione e sui suoi significati. Le pesanti trasformazioni subite dal complesso, prima decaduto per secoli e poi ricostituito senza controlli nei suoi elementi mobili e nel suo contesto naturale, hanno inoltre autorizzato esercizi ricostruttivi fantasiosi e romanzati, alla ricerca di chiavi di lettura complicate quanto sovente anacronistiche, di itinerari iniziatici inevitabilmente viziati dalla soggettività del critico, oppure di una rassicurante banalizzazione dei soggetti. Tuttavia il periodo storico cui appartiene questa straordinaria testimonianza d’arte è ben conosciuto e studiato, e ricchissimo di spunti per quei confronti e quelle indagini parallele che consentono sempre di inquadrare correttamente, se non di comprendere in ogni loro articolazione, anche le più “misteriose” realizzazioni. Da questo scandaglio capillare sulla cultura, sull’arte e sulla politica in chiave europea, sullo sfondo degli anni cruciali della Controriforma e più propriamente del Concilio di Trento, sono emersi naturalmente i protagonisti di questa impresa. Accanto a Vicino Orsini, il committente - padrone anche troppo esaltato dalla storiografia, come principale autore del Sacro Bosco - si propone Michelangelo come regista più o meno occulto del progetto, e si individuano gli artisti più direttamente coinvolti nella esecuzione dei singoli gruppi scultorei: in primo piano Leone Leoni, curiosamente mai neppure citato nei precedenti studi e poi le già note figure di Raffaello da Montelupo, Simone Mosca e Francesco Moschino.
L’isolamento e la secretazione di questa opera imponente e originalissima si spiega ad abundantiam con la sua ispirazione a credenze sincretistiche ed eretiche, ampiamente diffuse in campo europeo, circolanti negli ambienti filo imperiali e, nella Tuscia, ricollegabili al movimento degli Spirituali e del loro protettore ufficiale, il cardinale inglese Reginald Pole. Le profonde radici letterarie dei tematismi trattati nel Sacro Bosco trovano riscontro e alimento sia nei poemi cavallereschi - dall’Orlando Innamorato all’Orlando Furioso (già ampiamente utilizzati dalla storiografia, in particolare da Calvesi) - sia nell’attività poetica di Giuseppe Betussi, di Bernardo Tasso e, in modi più sostanziali, di Fraçois Rabelais; ma sia dal punto di vista dell’iconografia che da quella della vera e propria invenzione artistica, le opere di Bomarzo appaiono piuttosto come prototipi che come piatte materializzazioni di precedenti letterari, a dimostrazione di una sicura anteriorità rispetto, ad esempio, alla Gerusalemme Liberata. Nella divisione dei compiti, possiamo oggi attribuire a Michelangelo l’idea, l’impostazione di base e il suggerimento degli artisti, suoi diretti e fedelissimi allievi; a Raffaello da Montelupo, parte dell’esecuzione e gli interessi cavallereschi, documentati dalla sua preziosa autobiografia; a Leone e Pompeo Leoni il merito non solo degli interventi più incisivi e anticonvenzionali, ma anche il legame con l’Impero, i Gonzaga, l’ambiente milanese.
L’impronta michelangiolesca si accorda con l’esecuzione, entro il 1564, delle opere architettoniche principali e soprattutto delle grandi sculture scavate nei massi di peperino. Questo studio quindi si ricolloca idealmente ad un tema, quello della profonda influenza diretta e indiretta esercitata dal Buonarroti nell’Alto Lazio, che abbiamo lanciato nel 2000 con il Convegno di Capranica “Michelangelo e l’arte nella Tuscia” e che abbiamo approfondito con numerose altre ricerche particolari a carattere fortemente innovativo, tra le quali si possono ricordare gli articoli pubblicati su “Studi Vetrallesi”. Oggi, che anche quel Convegno viene ripreso nel titolo (“L’età di Michelangelo e la Tuscia”, Bagnaia 24 maggio 2005) senza consapevolezza e senza finalità critiche, è necessario riflettere sulla necessità di ampliare la nostra conoscenza e di applicare metodi di indagine più efficaci e moderni.
Si comprende quindi come in un quadro così rinnovato di riferimenti costituisca parte integrante del lavoro una cronologia degli avvenimenti, dal 1541 al 1570, che completa la documentazione citata nel saggio iniziale alleggerendo l’apparato delle note.
Per le fonti e la bibliografia si rinvia al fondamentale lavoro di Bredekamp, mentre come contributo ad una più ordinata e completa documentazione iconografica proponiamo una sintetica raccolta di cartoline ante 1960 (a dimostrazione anche dei mutamenti intervenuti nel Boschetto), una serie di foto degli anni ‘70 e la campagna fotografica appositamente eseguita nel 2001. Attraverso queste immagini, riguardanti spesso lo stesso soggetto in tempi diversi, si potranno constatare deterioramenti, completamenti, ricollocazioni di teste; ovviamente, in una ipotetica ricostruzione capillare della storia dei restauri e delle integrazioni andrà aggiunta idealmente l’ampia documentazione fotografica dell’Ufficio Centrale del Catalogo. ( )
  davideghalebeditore | Jun 27, 2011 |
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