Critica letteraria, ironia e cruda "realtà" in un curioso libro scritto con uno scorrevolissimo linguaggio ingannatore: nella levità di certi commenti è nascosto il veleno di profonde e acutissime critiche, lasciate spesso al dileggio della pura riproposizione di una qualche scempiaggine colossale.
Si tratta di una forte denuncia, piena di divertenti e sagaci divagazioni, dei luoghi comuni più pervicaci sui "vizi solitari" delle donne a cominciare dal più grave e più pericoloso (per la salvezza dell'anima, s'intende) che è la lettura di romanzi.
La lettura, per la sua stessa natura di evocatrice di immagini, trasforma l'innocente lettrice (qualunque lettrice: comprese le zitelle e le suore) in una pornolettrice, che precipita, spesso inconsapevolmente, in una macchina molto più potente della sua volontà, che riguarda l'arte e la cultura ma anche la sessualità, l'economia e il commercio, poiché le trascina in un terreno ostile e prevenuto, pronto a trasformarle, per fini propri, in schiave dipendenti dal vizio, con comportamenti adeguatamente descritti e codificati (da uomini, ovviamente) almeno dall'inizio del Settecento.
Le brave ragazze, quindi, non devono leggere romanzi perché questi non sono altro che il primo passo verso la perdizione. Come insegnano Madame Bovary e tutte le altre innocenti traviate da un passatempo -a dir poco- galeotto. ( )