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Includes the name: Vittorino Andreoli

Works by Vittorino Andreoli

Lettera a un insegnante (2006) 17 copies
Il denaro in testa (2011) 11 copies
L'uomo di vetro (2008) 8 copies
dalla parte dei bambini (1998) 7 copies
L'uomo di superficie (2012) 7 copies
Delitti (2001) 6 copies
Giovani (1995) 6 copies
Una piroga in cielo (2002) 6 copies
La vita digitale (2007) 6 copies
Yono-cho (1994) 6 copies
Tra un'ora, la follia (1999) 5 copies
Il lato oscuro (2002) 5 copies
Camice matto (1995) 5 copies
Il Matto Inventato (1992) 5 copies
Follia e santità (2010) 3 copies
HOMO INCERTUS (2020) 3 copies
Il rumore delle parole (2019) 3 copies
Droga e Scuola 3 copies
Il silenzio delle pietre (2018) 2 copies
Silenzi (2007) 2 copies
L'uomo di vetro 2 copies
Homo stupidus stupidus (2018) 2 copies
il futuro del mondo (2019) 2 copies
La famiglia digitale (2021) 2 copies
Gli adolescenti 2 copies
Le nostre paure (2011) 2 copies
Nessuno (2012) 2 copies
Racconti segreti (2005) 2 copies
Le nostre paure (2011) 2 copies
Elogio dell'errore (2012) 2 copies
Cronaca dei sentimenti (2000) 2 copies
Fare la Pace 1 copy
La violenza 1 copy
Casi estremi 1 copy
Invidia 1 copy
Pietà 1 copy
Perdono 1 copy
Tristezza 1 copy
Conflitto 1 copy
Desiderio 1 copy
Gioia 1 copy
Gelosia 1 copy
Rabbia 1 copy
Fragilità 1 copy
La quarta sorella (2013) 1 copy
Le nostre paure (2010) 1 copy
Il reverendo (2008) 1 copy
Carta a un adolescente (2006) 1 copy
Il cervello 1 copy
Una certà età (2020) 1 copy
Racconti perduti (2010) 1 copy
Fuga dal mondo (2003) 1 copy

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Ho letto la versione Kindle di questo saggio sulla "certa età", quella mia, ma in effetti è quella di tutti gli esseri viventi. Fortunato chi ci arriva. Non a caso faccio parte anche io del "club dei dinosauri". L'ho detto diverse volte, ci ho anche scritto un libro sopra, me lo ricordo sempre ogni giorno quando entro in questa realtà digitale che ormai fa parte integrante della nostra vita. Conosco la scrittura di Vittorino Andreoli, come me naviga in questa stagione degli "approdi", come l'ha definita Carlo Baroni nella recensione del libro sul Corriere. Mi risparmio la fatica di scriverne, correrei il rischio di dire cose che ho già detto. Buona lettura e comprate il libro cartaceo del professore Andreoli.

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Vittorino Andreoli spiega la vecchiaia: la stagione degli approdi. Prospettive e stereotipi di una fase della vita. Esce «Una certa età» (Solferino), il saggio sugli anziani dello psichiatra veronese, membro della New York Academy of Sciences.

Ci sono quelli stizziti che rifiutano il posto che vorresti cedergli sul metrò. Come a dirti: guarda che non mi sto sgretolando. E gli altri che si piangono addosso. Per la memoria che si fa più lenta di una riforma in Parlamento. Per le gambe disconnesse con la testa, le mani disegnate come un canyon e le vene uguali a fiumi che affiorano disordinati. Ma ci sono anche quelli che se la tirano. Gli insopportabili. I lamentosi. Che la sanno sempre più lunga di te. Come se la saggezza fosse una questione anagrafica. Infine, ecco i rassegnati. Con i figli (di solito tanti) che «non chiamano mai». Quelli dentro le canzoni di Renato Zero e Baglioni. Stanno negli ospizi, o meglio «nei giardini che nessuno sa» a pretendere una carezza. O piuttosto che il respiro decida di non aspettare quota 100.

I vecchi. Donne e uomini di Una certa età come il nuovo saggio di Vittorino Andreoli, edito da Solferino. E il sottotitolo recita: «Per una nuova idea della vecchiaia». Perché la definizione è soggetta a mutamenti con il tempo. E in effetti l’idea di vecchiaia non è mai vecchia. Resta il retaggio (il pregiudizio?) di considerare questa età della vita come una sentenza. L’anziano è il condannato a morte già uscito dalla cella che attende solo che il boia lo venga a prendere. E così si aggrappa a un intoppo burocratico. A un colpo di genio del suo avvocato per rimandare l’addio. Ma sa che è solo questione di tempo. Comprarsi l’agenda del nuovo anno sono solo soldi buttati via. È l’immagine di una vecchiaia come età senza senso. Il terzo tempo di una partita dove non c’è più spazio per giocare. Figuriamoci per vincere. La vecchiaia sinonimo di cose negative. Senectus ipsa est morbus (la vecchiaia è di per sé malattia).

Vittorino Andreoli viaggia dentro questa fase dell’esistenza proprio alla ricerca di quel senso che sfugge. Cogliendo contraddizioni e inganni. Ma anche opportunità e sogni. Perché la vecchiaia è anche un tempo per progettare. Consapevoli di quello che si è. Il passato, allora, diventa un kit sorprendente. Non è questione di esperienza, ma di sentimenti e passioni da (ri)vivere con il passo giusto. Il passato che non è più rimpianto. «Un adulto si proietta nel futuro, un vecchio vive» scrive Andreoli. La differenza tra l’attesa e l’adesso. Tra qualcosa che deve ancora essere (e chissà se sarà?) e qualcosa che c’è, che esiste: hic et nunc, qui e ora. «L’esistenza è respirare l’aria di quel momento, sentire la presenza dell’altro in quell’istante e avvertire di non essere soli».

C’è anche l’invito a non cadere nel luogo comune che la vecchiaia sia un ritorno all’infanzia. Le due età della vita che, alla fine, si congiungono, quasi si fondono. Ma è una regressione non confrontabile con la vivacità del bambino. Di quell’età forse ritornano la leggerezza e l’inconsapevolezza ma spesso sono sintomi di patologie cognitive più che di scelte esistenziali.

Invece non è uno stereotipo ma una «malattia» che non finisce nei manuali la tendenza, la voglia, la rabbia di provare a congelare il tempo. Adottare stili di vita con l’orologio portato indietro di venti-trent’anni. Gli anziani vestiti come a un concerto rock o impegnati in sport estremi (e a una certa età persino il calcetto è più letale del bungee jumping). È un tentativo, maldestro, di fare un lifting all’anima prima ancora che al corpo. Il non accettarsi per quello che si è diventati, una sindrome da Peter Pan fuori stagione. Il desiderio di non diventare adulti che qui diventa chiudere le porte a un’età che è considerata la stanza del niente. E il prolungamento della vita accentua, in alcuni, questa sindrome.

La vecchiaia è anche il momento di dare un altro significato alla vita di coppia. Uomo e donna si avvicinano e nello stesso tempo divergono. Si accentuano i caratteri di genere, quasi a rimarcare la forza dell’identità. Ma anche a far emergere la complementarità tra i due generi. Siamo in un’età che diventa un’apripista per cogliere gli aspetti più profondi dell’altro, quasi una gara a coglierne il meglio, senza il peso di desideri e passioni che finiscono per inquinare una relazione sana.

E allora diventare vecchi è aggiungere spazi di vita vera. Cambiare prospettiva, lasciar sedimentare gli orizzonti, guardare da lontano e oltre aiuta a rendere nitidi i contorni. I malanni dell’età sono un monito costante a riconoscere i limiti, non cadere nei deliri di onnipotenza per bruciare il tempo con interessi effimeri. La vecchiaia (ma non è bello chiamarla così) non è l’ultima spiaggia ma la possibilità di sfiorare un nuovo mare.

Carlo Baroni - Corriere della Sera - 16 gennaio 2020
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AntonioGallo | Sep 24, 2020 |
Ho letto questo libro in versione digitale. L'ho trovato degno delle cinque stelle. Ho deciso di rileggerlo anche in versione cartacea non appena possibile. La volatilità del digitale non permette di fissare nella mente quello che Vittorino Andreoli ha deciso di dire su un argomento così importante come il cervello umano, un bisogno di conoscenza tanto antico quanto moderno.

Di cosa sia veramente fatta quella scatola cranica che è chiamata cervello, con tutto il suo non gradevole contenuto, continua ad essere un mistero. A partire dal suo aspetto fisico. Un mio bisogno antico che col passare del tempo è continuamente aumentato sin da quando, giovane sprovveduto, mi ritrovai in una realtà di lavoro dove alle deficienze fisiche di migliaia di pazienti, bambini, giovani e vecchi, maschi e femmine, si affiancavano quelle mentali.

Pensare oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, che quel contenuto della scatola possa essere trasferito, anche se solo in minima quantità in un oggetto portatile in tasca, è un fatto semplicemente tanto spettacolare quanto misterioso.

Mi rendo conto che non sto parlando del libro che lo studioso Vittorino Andreoli ha scritto. Non saprei davvero da dove cominciare. Posso dire solamente che questo libro dovrebbe essere letto da tutti. Dovrebbe essere adottato in tutte le scuole, studiato e commentato, usato come manuale.

Mi riprometto di riparlarne, scegliendo tra gli innumerevoli argomenti sui quali ognuno che abbia un cervello è in grado di intervenire. Un cervello intendo sia tradizionale che digitale.

Lo so, molti cominciano a pensare che ora che hanno la possibilità di averne uno in tasca possono fare a meno di quello che Madre Natura ha fornito ad essi. Sbagliano di grosso. Andreoli lo dice chiaro tondo ...
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AntonioGallo | Oct 9, 2019 |
 
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Ste1955 | Apr 24, 2019 |
Questo ennesimo libro del prof. Vittorino Andreoli, uno dei maggiori psichiatri italiani, si caratterizza in maniera chiaramente pessimistica, nonostante il suo titolo. Può sembrare un paradosso, ma a mio modesto parere, il professore lo sa bene, la passione di scrivere è tutt’altro che gioiosa. La gioia di vivere, quella di scrivere, la fatica di crescere, l’elogio dell’errore, l’identità dell’uomo, i segreti della sua mente, lo psichiatra e il suo paziente, i nostri lati oscuri, i dialoghi nel cimitero, il matto inventato, il linguaggio della follia … Potrei continuare all’infinito, tanti sono i suoi libri su questi argomenti, con questi titoli. Tutti rinchiusi tra malinconia e fantasia, scienza e coscienza, amore e psiche, matti e preti. Quest’ultimo, sulla scrittura intesa come gioia, proprio non me l’aspettavo.

“Pensieri indignati, pensieri arrabbiati, pensieri spettinati, pensieri tristi cresciuti come cespugli nel giardino di una mente inquieta che scruta da anni l’animo umano, pensieri che urlano davanti a un mondo smarrito, dove chi sa un poco di tutto si sente un dio sulla terra e chi sa tutto di poco sta zitto e pensa. Ma anche pensieri teneri, fragili come illusioni, sogni a occhi aperti da contrapporre alle menzogne che inquinano la vita, alla ricerca di quella medicina dell’esistenza che si chiama speranza. È un’acrobazia di pensieri il nuovo libro di Vittorino Andreoli, palombaro della psiche e dell’anima con la sindrome della macchina da scrivere, che si esercita in un diario intimo, personale, non letterario, non proustiano, per diagnosticare la crisi degli ideali, scalzati da egoismo, indifferenza e cattiveria.”

Così ha scritto Giangiacomo Schiavi sul “Corriere” nella recensione del libro. Non potrei dire di meglio. Quello che mi ha colpito del libro è la diffidenza dello psichiatra Andreoli nei confronti di Internet e di tutto il mondo che ruota intorno e dentro il mondo della Rete. Credo che, anche se non l’ha scritto, consideri il tutto una “gabbia di matti”, lui si che se ne intende! Se le cose stanno così, non avrebbe dovuto scegliere un titolo del genere. Scrivere, in un’atmosfera del genere non è affatto una “gioia”, pur restando sempre un’abilità.

Lui sostiene che questa sia un'arte dimenticata. La “scrittura” vista come logica e legittima conseguenza del “pensare”. Eppure Andreoli ha scritto questo libro esattamente come si scrive oggi in Rete, sui "social". Adotta, non a caso, la tecnica dell’antica tradizione diaristica, quella di scrivere ogni giorno pensieri, riflessioni, appuntamenti, su una pagina di quaderno per un intero anno. Ha fatto proprio quello che ognuno di noi fa, oggi, sui social come Facebook, G , Twitter e tanti altri.

Brevi pensieri giornalieri in sequenza senza connessioni, in una libera concatenazione e flusso di pensiero che generano in chi legge ulteriori pensieri, reazioni e riflessioni. Insomma, vere e proprie provocazioni, se non suggerimenti a chi legge, a guardarsi dentro se stessi, intorno al mondo che ci circonda, senza ignorare i misteri nei quali siamo tutti intrappolati. Non sfugge niente e nessuno infatti al professore: dalla politica alla società, dalle scienze alle arti, dall’economia alla filosofia, da Gesù Cristo a Berlusconi, da Grillo a Roberto Saviano, da Heidegger a Mozart, dal tempo perduto a quello ritrovato, dalla paura della morte al piacere di vivere.

Il tutto in brevi, sintetiche, veloci riflessioni espresse alla maniera di Twitter, anche se con un maggior numero di battute. Insomma, una vera e propria bacheca immaginaria sulla quale, nel corso di un anno di diario, ognuno di noi può trascrivere ed appuntare i propri pensieri. Inclusi quelli straordinari in un paio di occasioni nelle quali il professore parla anche della consistenza, allungamento e trapianto di … peni. Avete letto bene. Nulla sfugge alla sua attenzione. I suoi sono referti medici inappellabili: Berlusconi è il “paradosso dei paradossi”, Matteo Renzi è un leader “tendenzialmente maniacale”, Angela Merkel ha “una pericolosa deviazione hitleriana”, Roberto Saviano un “nessuno che continua a parlare mentre dovrebbe tacere”.

La gioia di pensarlo e scriverlo in chiaro pessimismo, che è però soltanto provocazione a reagire, un richiamo alla responsabilità in chi legge. Il libro ha raggiunto pienamente lo scopo. Il lettore troverà appunti e spunti, pensieri che attivano i pensieri. Ognuno potrà fissarli sulla propria bacheca della mente reale o digitale. Andreoli scrive nella sua introduzione: “La creatività nasce dalla nostra mente in maniera improvvisa. Proprio come un prato di primavera che da un giorno all’altro è costellato di fiori di diverso colore, comparso su quel tappeto verde al di là di ogni logica e previsione.” Ecco, allora, da dove nascono le ragioni di quella parola nel titolo del suo libro, la “gioia” della creatività che alberga in ogni essere umano. Nei “sani”, come nei “matti”. Chi lo sa meglio di Vittorino Andreoli?

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AntonioGallo | Nov 2, 2017 |

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